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Il fenomeno Sinner: tra tennis, media e comunicazione

Negli ultimi anni, il tennis italiano ha vissuto una trasformazione radicale. Al centro di questa rivoluzione c’è un nome: Jannik Sinner. Da promessa silenziosa a superstar internazionale, il giovane altoatesino è diventato molto più di un atleta. È un fenomeno mediatico, un brand, e, forse senza volerlo, anche un simbolo.

Un tennista perfetto per un’epoca imperfetta

Sinner non è solo uno dei tennisti più forti al mondo. È anche la rappresentazione di un ideale sportivo che sembrava perduto: dedizione, disciplina, silenzio, umiltà. Non ci sono eccessi nelle sue dichiarazioni, non ci sono polemiche nei suoi atteggiamenti. In un’epoca in cui la spettacolarizzazione domina ogni sport, Sinner ha conquistato tutti non facendo spettacolo, ma semplicemente giocando meglio di chiunque altro.

La vittoria di Wimbledon 2025, che lo ha consacrato tra i più grandi della storia del tennis italiano e internazionale, ha segnato uno spartiacque. Non solo per il valore sportivo dell’impresa, ma per l’impatto simbolico che ha avuto. Un italiano che vince il torneo più prestigioso del mondo, sull’erba sacra di Londra, con eleganza e freddezza, è qualcosa che va oltre la cronaca sportiva.

E proprio questa sua apparente “non personalità” televisiva, così distante da ciò che normalmente attira i riflettori, è diventata il suo punto di forza. I brand lo hanno capito presto: Sinner non è solo un campione, è un modello ideale, credibile perché autentico.

È il caso di Nike, uno dei suoi sponsor principali, che lo ha inserito in una campagna globale accanto a stelle come Federer e LeBron James. Spot dai toni epici, silenziosi, quasi minimali, che esaltano la sua concentrazione, la sua compostezza, la sua determinazione. Sinner non parla, ma comunica, e lo fa con ogni gesto sul campo.


Nike e il ritorno alle origini: il caso Sinner come segnale di svolta

Negli ultimi anni, Nike ha vissuto una crisi profonda non tanto legata ai prodotti, quanto a una strategia che ha messo la metrica al posto del significato. A partire dal 2020, sotto la guida dell’ex CEO John Donahoe, il marchio ha adottato un approccio iper-razionale al marketing, orientato esclusivamente al massimo ritorno sull’investimento (ROI). Questo modello, definito da alcuni analisti come “ROIsmo”, ha portato Nike a disinvestire in cultura, relazione e brand equity, tagliando le categorie sportive, licenziando centinaia di specialisti, e puntando tutto sul digitale diretto al consumatore (DTC).

Il risultato? Un indebolimento drammatico del legame emotivo con il pubblico. Notorietà in calo, campagne dimenticabili, engagement social dimezzato e un crollo del Net Promoter Score. Ma nel 2024, dopo aver perso 25 miliardi di dollari in un solo giorno in Borsa, Nike ha iniziato a cambiare rotta. Il ritorno di Elliott Hill – veterano del brand – e il rilancio delle categorie sportive, del canale wholesale e dell’investimento in ricerca e storytelling segnano un tentativo di riconnessione con il proprio DNA.

L’uso dell’immagine di Jannik Sinner, subito dopo la vittoria a Wimbledon, ne è un perfetto esempio. Niente slogan forzati, niente call to action, solo tre parole evocative: “Winning heals everything”. Un messaggio potente e misurato, in linea con l’identità di Sinner e con il nuovo corso di Nike: tornare a raccontare lo sport come esperienza collettiva, culturale, emotiva, non solo come conversione a breve termine. È una lezione chiara per qualsiasi brand: quando tradisci ciò che ti ha reso rilevante, perdi il tuo posto nel cuore delle persone.

Impatto mediatico: il tennis riscoperto

Con Sinner, anche il tennis ha smesso di essere uno sport “di nicchia” in Italia. Fino a pochi anni fa, la disciplina era considerata secondaria rispetto a calcio, Formula 1 o MotoGP. Oggi, ogni sua partita è un evento nazionale. I dati d’ascolto delle sue finali e semifinali hanno superato record storici, con milioni di spettatori collegati a ogni ora del giorno (e della notte).

Non si tratta solo di sportivi appassionati. Sinner ha saputo attrarre un pubblico trasversale, dai più giovani agli over 60, da chi non ha mai seguito una partita prima d’ora a chi è tornato a farlo dopo anni. Questo “effetto-Sinner” ha avuto ripercussioni concrete anche sul territorio: iscrizioni ai circoli di tennis in crescita, aumento di investimenti nel settore, maggiore copertura televisiva e giornalistica. Il tennis è finalmente tornato a essere uno sport di primo piano, trascinato da un ragazzo che comunica soprattutto con le racchette, non con le parole.

Il silenzio degli assenti

Mentre il Paese lo acclama, qualcuno invece tace. Non sono pochi quelli che hanno notato una certa assenza istituzionale in alcuni momenti clou della carriera di Sinner. Nessun rappresentante politico sugli spalti durante le sue finali, nessun tweet ufficiale fino a risultati ormai consolidati. Una discrezione che ha fatto rumore. Forse una scelta voluta per non “politicizzare” il fenomeno, o forse semplicemente una distrazione. Ma in un Paese dove lo sport è spesso usato come vetrina, la freddezza con cui una parte dell’apparato pubblico ha reagito ai successi del tennista lascia spazio a qualche riflessione.

Sinner non parla, ma comunica

Quello che rende il fenomeno Sinner ancora più interessante è che Jannik non è un comunicatore nel senso tradizionale, eppure comunica eccome. I suoi silenzi, i suoi sguardi concentrati, la timidezza quasi imbarazzata davanti alle telecamere: tutto contribuisce a costruire un personaggio raro, che piace proprio perché non cerca mai di piacere. È la dimostrazione vivente che non serve essere istrionici per essere vincenti, e che l’eleganza – nello stile di gioco e nei modi – può ancora fare la differenza.

In un mondo dove tutto è immediatamente condiviso, raccontato e spesso gridato, Sinner è l’anomalia che funziona. Il “bravo ragazzo” che non ha bisogno di reinventarsi, né di raccontare drammi personali per farsi ascoltare. È sufficiente guardarlo giocare per capire chi è. E questo, oggi, è forse il suo più grande merito.

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