Con oltre otto miliardi di persone che condividono questo pianeta, l’inclusività non è più un’opzione: è una necessità. Man mano che le società evolvono e le conversazioni globali diventano sempre più interconnesse, il modo in cui usiamo il linguaggio influenza non solo le nostre interazioni, ma anche la nostra comprensione di identità, uguaglianza e appartenenza.
Se puoi nominarlo, puoi cambiarlo
«Se puoi nominarlo, puoi cambiarlo.» È questo il principio alla base di Dizionario di genere. Definizioni e relazioni per la comprensione dei fenomeni legati al genere, il primo dizionario tecnico interamente dedicato alle questioni di genere, scritto da Marzia Camarda e pubblicato da Settenove Edizioni.
Il volume raccoglie oltre 2.400 lemmi che esplorano le intersezioni tra linguaggio, cultura e potere, offrendo ai lettori gli strumenti per riconoscere e ripensare le dinamiche di genere radicate nella comunicazione quotidiana.
Il progetto di Camarda non riguarda solo le parole, ma la consapevolezza. Il Dizionario di genere costruisce una rete di definizioni interconnesse che aiutano a comprendere come significati, pregiudizi e stereotipi si muovano attraverso le discipline. Dare un nome a cose, identità, disuguaglianze o comportamenti significa renderli visibili — e quindi trasformabili.
Il potere e la responsabilità delle parole
Come ricordano spesso gli esperti di comunicazione, le parole possono costruire ponti o muri. Il linguaggio ha il potere di includere o escludere, rafforzare o indebolire. Eppure molti ne sottovalutano ancora l’impatto concreto sulla vita reale. Espressioni come “sei così gay” o insulti di genere possono sembrare innocue ad alcuni, ma — come sottolinea la Stonewall Education Guide — tre quarti degli insegnanti delle scuole primarie dichiarano di sentire queste frasi nelle proprie classi. Quando questo linguaggio non viene contestato, la discriminazione si normalizza e compromette il senso di appartenenza e l’autostima dei più giovani.
Il linguaggio sessista è un altro riflesso delle disuguaglianze sistemiche. Come ha scritto il giornalista Patrick Strudwick su The Guardian, «Non può esserci emancipazione per le persone gay senza la liberazione universale delle donne.» Il legame tra sessismo, omofobia e transfobia è innegabile: sfidarne uno significa smantellarli tutti. Ecco perché il linguaggio inclusivo non è una moda, ma uno strumento di cambiamento culturale.
Dalle parole ai fatti: il ruolo dei brand
Il linguaggio non vive solo nelle aule o nei libri: è anche il cuore del marketing e dello storytelling. In un’epoca in cui i consumatori si aspettano che i brand rappresentino dei valori, il marketing inclusivo è diventato un imperativo tanto morale quanto strategico.
Quando nel 1971 Coca-Cola lanciò la celebre pubblicità con persone provenienti da tutto il mondo che cantavano su una collina, non stava solo vendendo una bevanda, ma un’idea di unità. Decenni dopo, brand come Nike hanno seguito la stessa strada. La loro campagna che celebra le atlete in gravidanza è stata una dichiarazione audace: la forza e l’ambizione delle donne non si fermano con la maternità.
Sebbene Nike fosse inizialmente criticata per le politiche che penalizzavano le atlete incinte, l’azienda ha risposto modificando i contratti — un promemoria concreto che l’inclusività non può ridursi a uno slogan.
Le ricerche dimostrano che le campagne inclusive generano maggiore coinvolgimento, soprattutto tra Gen Z e Millennials, più inclini a sostenere marchi che condividono i loro valori. Ma, come dimostra il caso Nike, l’inclusività non può essere performativa: richiede un impegno autentico nei confronti dei principi che un brand promuove.
Una missione condivisa: nominare, comprendere, trasformare
Il lavoro di Marzia Camarda e di Settenove Edizioni rispecchia la stessa filosofia che sostiene un marketing davvero inclusivo: la consapevolezza nasce dal linguaggio. Ridefinendo le parole con cui parliamo di genere, identità e potere, gettiamo le basi per una società più equa, e per una comunicazione più autentica.
In un mondo sempre più dominato da voci digitali, influencer e messaggi aziendali, ogni parola conta. Che si tratti di una voce di dizionario o di uno slogan pubblicitario, il linguaggio plasma la percezione. Dice alle persone se appartengono o meno.Adottare un linguaggio inclusivo, a scuola, sul lavoro o nella pubblicità, non è solo un gesto sociale: è un atto di progettazione culturale.
È così che diamo un nome, comprendiamo e, infine, cambiamo il mondo.


