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Comunicare al buio: cosa succede ai brand (e a noi) quando manca la corrente

Questa settimana, un blackout improvviso ha oscurato ampie aree di Spagna, Francia e Portogallo. Semafori spenti, traffico in tilt, elettrodomestici muti. Ma la conseguenza più invisibile — e forse più incisiva — è stata la paralisi della comunicazione. Nessun segnale, niente rete, niente elettricità: l’effetto più profondo e meno visibile è stato il silenzio comunicativo. Reti mobili fuori uso, internet inaccessibile, server isolati.

In Spagna, la rete ha perso in pochi istanti 15 gigawatt – circa il 60% della domanda nazionale – e la connettività web si è ridotta al 17% del suo utilizzo normale. In Portogallo, le telecomunicazioni sono state particolarmente colpite, paralizzando il Paese.

Una situazione apocalittica che porta a una domanda uscita da un romanzo distopico: come si comunica senza energia?

Il blackout dell’identità

Per i brand, questo tipo di evento rappresenta molto più che un guasto tecnico: è un blackout della propria identità.
Siti irraggiungibili, newsletter interrotte, social fermi, chatbot muti. La brand reputation, che si costruisce ogni giorno con contenuti, risposte tempestive e presenza continua, vacilla non appena salta la connessione.

E se al blackout si aggiungesse una fuga di dati? L’impossibilità di comunicare tempestivamente, spiegare, contenere il danno e rassicurare gli utenti potrebbe trasformarsi in una crisi reputazionale senza precedenti. In uno scenario simile, il silenzio non è mai neutrale: diventa sospetto, assordante, pericoloso.

Quando l’intero ecosistema digitale si spegne, i marchi non riescono più a rispondere, raccontarsi, rassicurare. Un silenzio che, in un’epoca di comunicazione continua, non è mai neutro: è una crepa nella fiducia, una fragilità esposta.
Ogni minuto di silenzio, in uno scenario simile, è un rischio reputazionale.

Il ritorno alla fisicità

Senza elettricità, la comunicazione torna fisica. Torna umana. Torna analogica. Le radio a batterie diventano più efficaci degli smartphone; le bacheche di quartiere più utili dei feed di Instagram.

I brand che non hanno mai previsto un piano B si trovano muti. Chi, invece, ha saputo valorizzare la propria presenza territoriale – attraverso la stampa, le reti locali, i punti informativi – ha ancora voce.

E se il blackout durasse giorni?

Il blackout europeo è durato ore, ma ha lasciato il segno. Ora proviamo a immaginare giorni o settimane senza corrente: una distopia energetica che ci costringe a ripensare tutto.

Sparirebbero le notifiche, i trending topic, le stories. La comunicazione diventerebbe più lenta, più essenziale, più ponderata. E probabilmente, più vera.

Ma per reggere, serve preparazione.

La resilienza comunicativa come asset

L’evento del 28 aprile ha dimostrato che non possiamo più ignorare la vulnerabilità della comunicazione digitale. Serve una nuova parola d’ordine: resilienza.

Questo significa prevedere piani di comunicazione d’emergenza ma anche dotarsi di backup energetici per garantire continuità operativa. È altresì importante formare i team alla gestione delle crisi anche senza tecnologia.

Perché in un mondo dove la voce di un brand vive (e muore) in rete, sapere comunicare al buio diventa una competenza strategica. Perché il futuro non sempre sarà connesso.

La comunicazione si fa fisica

Senza corrente, torniamo alla comunicazione analogica. Alla voce. Al gesto. Alla carta stampata. Ai volantini appesi. Ai megafoni. Si ristabilisce una fisicità del messaggio che avevamo archiviato come obsoleta, ma che in contesti di emergenza torna centrale. L’essenza della comunicazione – trasmettere un messaggio a qualcuno in un certo tempo e luogo – resta, ma cambia completamente il mezzo.

Esercizi di resistenza comunicativa

Questo evento ci impone di chiederci: quanto siamo preparati?
Esistono piani di continuità comunicativa in caso di blackout prolungati? I brand hanno strategie analogiche di emergenza? Abbiamo imparato a comunicare al buio?

L’energia alimenta le nostre parole, ma la vera potenza risiede nella capacità di adattamento. Il blackout ci ricorda che un piano B, anche nella comunicazione, non è più un’ipotesi remota, ma una necessità concreta.

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