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Boomers vs zoomers: comunicazione generazionale a confronto 

Immagina la situazione: stai messaggiando con i classici genitori boomers per dire loro che arriverai tardi per cena. Loro ti rispondono con un semplice pollice alzato. Ora, se sei nato prima del 1980, probabilmente non farai caso alla risposta, ma se la tua data di nascita si colloca dal 1981 in poi, è possibile che quell’ emoji non la interpreterai come “okay”, ma come un dito medio. 

A ciascuna generazione il proprio linguaggio

Greatest Generation, Generazione silenziosa, Baby Boomer, X, Y, Z e Alpha. Queste sono le sette generazioni attualmente in vita. Ognuna di esse ha delle caratteristiche, punti di riferimento, gusti e abitudini che accomunano i nati in un determinato momento storico. Gli eventi che viviamo incidono sul modo di pensare, ma anche sulle tecniche di comunicazione utilizzate quando ci si relaziona con altri. 

Quando uno zoomer, ossia chi appartiene alla Generazione Z, nato tra il 1997 e il 2012  si trova a chattare con un boomer, nato invece tra il 1946 e il 1964, succede che spesso non ci si capisce e che si travisino i contenuti dei messaggi, finendo nel cosiddetto “cringe”. Le difficoltà che si possono incontrare in queste situazioni sono legate alle differenze generazionali. 

Se il linguaggio degli zoomers è ricco di acronimi, emoji e meme, come “brb”, “omg”, quello dei boomers, che potrebbe non capire questi termini o trovarli confusi, appare più formale. Le nuove generazioni sono abituate alle tecnologie moderne, alle app di messaggistica istantanea e ai social media, utilizzati quotidianamente e con grande disinvoltura. Chi, invece, ha qualche anno in più, è probabile non abbia grande dimestichezza o familiarità con queste piattaforme, preferendo, invece, metodi di comunicazione più tradizionali. 

Emoji: zoomers di oggi, boomers di domani

Le emoji dovrebbero essere abbastanza intuitive. Nonostante siano semplici icone emotive, i Boomers continuano a usare questi simboli in modo letterale. I Millennials e, soprattutto la Gen Z, oltre ad assegnare nuovi significati, magari più sarcastici, a questa iconografia, si divertono a prendere in giro l’uso eccessivo e inadeguato delle emoji.

Il diverbio più grande riguarda l’utilizzo del pollice in su. Una “faccina” ampiamente usata che, per i Boomers è un modo alternativo di dire “okay”, mentre i più giovani lo vedono per quello che è: un pugno in faccia.

Alcuni emoji, quando usati in modo spropositato dalle generazioni più datate, diventano completamente tossici per i giovani, irrimediabilmente dannosi, anche se impiegati con sarcasmo e ironia. Un esempio è l’emoticon del “pianto ridendo”, ora sostituita dalle generazioni Z e Alpha con quella di un teschio e con quella del “pianto forte”. 

Siccome la comunicazione è in continua evoluzione, lo è anche il parterre di emoticons a disposizione, tant’è che in un futuro non troppo lontano, gli zoomers di oggi saranno i boomers di domani. 

Scrivi come parli

Un singolo punto a fine di una frase può essere estremamente offensivo agli occhi delle generazioni più giovani. Viene visto come un segno passivo aggressivo; ma non è tutto. I messaggi di testo si basano su una sintassi nuova e unica, pensata per ricreare accuratamente una conversazione informale. Per farlo, è importante non trattare i messaggi come lettere o brevi memo. La Generazione Z e i Millennials utilizzano una combinazione di simboli, lettere maiuscole, minuscole e punteggiatura per comunicare. Un modus operandi spesso non apprezzato agli occhi degli “anziani adulti”, in quanto più attenti all’uso della grammatica. 

La linguista canadese e autrice di “Because internet”, Gretchen McCulloch, parla di “tono di voce tipografico”, un fenomeno in continua evoluzione. Dal più comune uso dei punti per essere passivo aggressivi all’impiego del maiuscolo per urlare. Ci sono poi tecniche meno familiari, come scrivere tutto in minuscolo per dare un tono monocorde e impassibile. 

Linguaggio generazionale 

Lo slang è un insieme di parole che non fanno parte del lessico standard ma che riflettono le dinamiche sociali, culturali e tecnologiche di diverse epoche. Il linguaggio distintivo di ogni generazione diventa un segno d’identità e di appartenenza. Sembra paradossale il fatto che l’universalità del comunicare venga meno nel momento in cui le parole, i modi di dire, diventano un codice comprensibile solo da chi condivide la stessa esistenza in un medesimo arco temporale. 

Quando due coorti iniziano a chattare, prima o poi, entrambi metteranno in campo il proprio set di espressioni. Da “groovy” e “bummer” a  “lit” e “no cap”, il passo è breve e i malintesi sono dietro l’angolo. Tuttavia, con pazienza e curiosità, queste interazioni possono diventare un’opportunità preziosa per il dialogo intergenerazionale. 

In passato, le generazioni più adulte  guardavano dall’alto in basso il modo di comunicare dei giovani, e oggi, la storia si ripete, con la Gen Z che attacca in modo creativo gli Alpha e il loro slang, ossia il “brainrot”. Parole come “skibidi toilet”, “phanum tax” e “rizz” sono ormai ridicolizzate su Tik Tok. 

Le differenze nello slang non devono essere viste come barriere, bensì come un’occasione di apprendimento. Capire il vocabolario dell’altra generazione aiuta anche ad avere un’idea delle loro esperienze, in un’ottica win-win, dove ambo le parti possono arricchire il proprio bagaglio comunicativo.

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Vittoria Savino

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